Bari, i racconti e i mille volti di Picone: il quartiere più "disordinato" della città
Letto: 35305 volte
mercoledì 9 maggio 2018
Letto: 35305 volte
di Marco Montrone e Marianna Colasanto - foto Antonio Caradonna
Si tratta di una grossa area sviluppatasi a ridosso del centro già a partire dalla fine degli anni 10 del secolo scorso, che però ha avuto la sua massima espansione nel Secondo Dopoguerra, quando una serie di costruzioni si andarono a formare attorno al più grande ospedale cittadino: il Policlinico.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
«Il tutto però nacque in maniera un po’ disordinata, senza un vero piano urbanistico – ci dice il 93enne Oslavio Cervini, uno di quei costruttori che hanno di fatto creato il quartiere -. In più in quella zona c’erano diverse fabbriche che sono state abbattute pian piano nel corso degli anni. Il rione si è quindi dovuto adeguare alla presenza di grossi edifici che a loro volta sono stati sostituiti da nuovi palazzi eretti quasi “uno sull’altro”».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
In più c’è da considerare la peculiare conformazione del territorio, dovuto al fatto che un tempo lì ci passava la lama più grande della città: Lama Picone, un ex fiume che proseguendo per l’attuale via Manzoni sfociava poi al Molo Pizzoli. «La lama è stata tombata, riempita – ci spiega Nicola Martinelli, docente di Urbanistica presso la facoltà di Architettura di Bari -. Ma chiaramente questa azione non è stata perfetta, producendo così degli avvallamenti».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Il risultato quindi è un intreccio di strade che paiono più appartenere a una città medievale che moderna, in una zona in cui Bari non è pianeggiante, ma pare anzi quasi posta su una “collinetta”. Un’area dai mille volti che siamo andati a visitare (vedi foto galleria).Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Il nostro punto di partenza è l’extramurale Capruzzi, lì dove inizia la lunga via Giulio Petroni, una strada che separa il Carrassi da Picone e si presenta da subito in leggera salita. Sulla destra, di fronte all’ex caserma Rossani e accanto all’hotel Excelsior, ecco la prima particolarità del quartiere: una stretta viuzza si insinua tra i palazzi prima scendendo e poi salendo, collegandosi da un lato a via Einstein e dall’altro a via Devitofrancesco.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Il passaggio “sotterraneo” si chiama via Tenente Pilota Licio Carri e affianca una serie di saracinesche abbassate: sembra di essere in qualche periferia newyorkese. Riprendiamo ora via Giulio Petroni fino ad arrivare a un bivio: l’arteria si divide in due e ci porta sulla destra in via Ricchioni, anch’essa in salita, che dopo aver incrociato via Lembo prende il nome di via Campione.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Ed eccoci davanti a un lungo curvone che ci conduce sulla sinistra su via Zanotti Bianco Umberto, che affianca un “rione nel rione” composto da basse e colorate case popolari senza balconi disposte su stradine che di colpo si fanno parallele e perpendicolari. Picone insomma non si fa mancare nulla.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Da qui ci spostiamo su via Dodaro, altra strada particolare dove una serie di palazzi si affacciano su una piazzola alberata nascosta, purtroppo occupata da una serie di auto.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Proseguendo arriviamo su via Scipione l’Africano, lungo viale caratterizzato da platani sempreverdi. Qui si trova la vecchia sede della Gazzetta del Mezzogiorno, inutilizzata dal 2015 e l’austero Istituto Preziosissimo Sangue, scuola privata fondata nel 1938 dalle suore Adoratrici del Sangue di Cristo e presente in questa via dal Dopoguerra.
Siamo ora giunti nel cuore di Picone: piazza Giulio Cesare, dominata dal grande Policlinico, il vero simbolo del quartiere, la cui costruzione fu avviata nel 1936. Da questo punto si estendono a raggiera ben cinque strade: via Scipione l’Africano, via Campione, viale Salandra, viale Ennio e viale Orazio Flacco, la più vecchia delle arterie della zona, di cui abbiamo parlato in un precedente articolo.
La strada dopo aver costeggiato il Villaggio del fanciullo, realizzato nel 1949 per aiutare i bambini in difficoltà e l’ex Centrale del Latte in disuso dalla fine degli anni 80, conduce da una parte nel rione Poggiofranco e dall’altra nella zona di Santa Fara.
Noi decidiamo di proseguire il nostro viaggio attraverso viale Ennio, che affianca a sinistra il muro perimetrale del Policlinico e a destra un caseggiato su cui è ben visibile una scritta risalente al Ventennio fascista. La palazzina fa angolo con via Carafa, dove ancora oggi è presente un’insegna gialla a caratteri rossi con su scritto: “Cinema Marilon”. Si tratta della mitica sala aperta nel 1953 che dagli anni 80 ai 90 proiettò film a luci rosse.
Scendiamo dunque per via Carafa raggiungendo viale Salandra, trafficata arteria alberata che costeggia sulla sinistra la parte più antica del quartiere. Da qui infatti tutta una serie di stradine in salita (via Lecce, via Foggia, via Lucera) si dirigono in una zona che conserva alcuni edifici di inizio secolo.
Tra questi un palazzo color rosa con annessa cappella che dal 1897 fino agli anni 50 ha ospitato un presepe monumentale un tempo famoso in tutta la città. La zona storica si trova di fatto su una piccola altura, tanto che per proseguire su via Lucera a un certo punto è necessario addirittura salire una ripida scala.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Viale Salandra poi incrocia con via Di Tullio, lì dove è presente l’ennesima stranezza di questo rione: un eucalipto che divide in due l’arteria, una sorta di spartitraffico naturale. L’albero è lì dagli anni 40 e fu piantato secondo la leggenda dai soldati americani che stavano lasciando la città.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Non ci resta ora che dirigerci verso l’ultima tappa del nostro viaggio. Da viale Salandra sulla destra si apre una stretta viuzza: via Collodi. Racchiude un po’ tutti gli elementi caratteristici di Picone. E’ tortuosa e a un certo punto si divide: da una parte porta a un vicolo chiuso dove i murales la fanno da padrone, dall’altra sale e curva, fino a terminare in un parcheggio che si trova sotto il livello stradale.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Su via Collodi conosciamo anche uno dei “personaggi” di Picone: “l’enorme” 83enne Antonio. Lo troviamo seduto su una sedia davanti alla sua vecchia officina meccanica.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
«Risiedo qui da sempre – ci dice – e quando ero piccolo qui le abitazioni erano molto poche. Vivevamo attorniati dalla campagna e c’era persino un allevamento di trecento mucche. Non avevamo nemmeno l’acqua. Ci servivamo delle fontane pubbliche: le cape de fiirre che si trovavano su via Lecce e via Carafa. Durante la Guerra proprio su via Collodi fu allestita una base militare degli Alleati: c’era anche un punto ristoro e una sala da ballo dove i soldati portavano le ragazze baresi. Io me ne stavo fuori e chiedevo loro sigarette e gomme da masticare».
Dai racconti di Antonio emerge come questa fosse poi un’area piena di fabbriche, tra cui l’oleificio Gaslini, l’azienda chimica D’Agostino o il mulino Tamma. Un po’ come l’adiacente zona compresa tra l’extramurale e il Quartierino, facente parte sempre di Picone, lì dove ancora oggi sono presenti vecchi capannoni abbandonati.
Del resto anche lì dove oggi si trova il “parco degli aquiloni”, tra via Collodi e via Devitofrancesco, sorgeva l’industria delle Fucine meridionali, la stessa che occupata negli anni 90 divenne il primo centro sociale della città. Un altro pezzo di storia di questo peculiare quartiere, dove un groviglio di vie conserva un intreccio di straordinari racconti della “Bari che fu”.
(Vedi galleria fotografica)
© RIPRODUZIONE RISERVATA Barinedita
I commenti
- Michele Nanna - Per la precisione quell’albero che è situato al centro della strada in via Detullio risale in effetti a tempi molto remoti. A quei tempi però via detullio non era una strada percorribile poiché era interrotta come lo è ora via lucera da una ripida scalinata che fu eliminata quando si spianò e rese percorribile la attuale via Detullio