I racconti di Via Napoli: simbolo dell'archeologia industriale di Bari
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lunedì 22 maggio 2017
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di Annarita Correra - foto Antonio Caradonna
Strada dai tanti volti, si caratterizza però per i numerosi pezzi di archeologia industriale che è possibile trovare percorrendola: da ex stazioni dei treni ad antichi gasometri, da vecchie distillerie a storiche palestre in ghisa. Tra abbandono e riqualificazione, via Napoli oggi appare un’arteria isolata, che corre un po’ “per i fatti suoi”, incurante delle “novità” che avvengono attorno ad essa. Siamo andati a esplorarla (vedi anche foto galleria).Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
La strada parte dalla cosiddetta zona del “bar dello studente”, per incunearsi in quella parte del rione Libertà che affianca il mare pur “senza toccarlo” a causa della presenza del porto. Da piazzetta Padre de Pergola fino a via Ravanas, la strada è caratterizzata dalle tipiche basse palazzine variopinte di inizio Novecento. Il folklore la qui fa da padrone, tra signore che parlano da un balcone all’altro e le lenzuola che sventolano qua e là.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Da largo Disfida di Barletta fino a via Brigata Regina, via Napoli però cambia aspetto. Diventa una strada isolata, non viene più “disturbata” dall’attraversamento di perpendicolari: qui non ci sono praticamente incroci. Il perché è da attribuirsi alle grandi strutture che si trovano su questo tratto di strada che non concedono “spazi”.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Di fronte alla semicircolare piazza Disfida di Barletta, caratterizzata per lo stile liberty dei palazzi della cooperativa “Domus” realizzate nel 1927, si trova il primo di questi edifici. E’ di colore bianco e rosso mattone e sulla sua cima fa capolino un orologio. Si tratta dell’ex stazione della Ferrotramviaria Bari-Barletta, costruita nella seconda metà dell’800. Il 30 marzo 1882, dopo progetti e lavori iniziati già nel 1877, si svolse la cerimonia inaugurale del primo tratto della tranvia, quello che dal capoluogo pugliese portava a Bitonto, poi un po’ alla volta furono attivati i successivi percorsi.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
In disuso come stazione dagli anni 60, oggi l’edificio è diventato la sede dell’engineering della Ferrovie del nord barese, ma continua a mantenere un fascino retrò, grazie ad esempio alle finestre al pianoterra che tra giochi geometrici sono marchiate con le lettere “F” e “T”. Del resto questa struttura rimane la testimonianza dei lontani giorni in cui la vaporiera sbuffante chiamata ironicamente “la ciclatera” (caffettiera), portava i baresi sulle ormai scomparse spiagge di Fesca.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Poco più avanti, sulla sinistra, incrociamo il secondo “monumento” industriale della zona: l’ex Gasometro. Costruito nella seconda metà dell’800, ha provveduto all’illuminazione di tutta Bari. La sera del 17 ottobre 1868 infatti tutte le strade iniziarono ad essere rischiarate con fanali a gas. L’antica officina ha continuato a funzionare fino al 1968 per poi essere abbandonata e dismessa intorno alla metà degli anni 80 perché i suoi metalli e idrocarburi contaminavano i terreni e la falda acquifera sotterranea.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Negli anni 90 partirono i lavori di bonifica che furono sospesi e ripresi più volte, anche per il ritrovamento di tracce di amianto e persino di un ordigno bellico. Oggi sono ancora in corso le operazioni per salvaguardare ciò che è rimasto dell’antica industria contenuta in un grande recinto che da via Napoli si estende fino a corso Mazzini.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Accanto al muro di cinta dell’ex gasometro, fa capolino una specie di torretta con particolari dettagli ornamentali che ricordano lo stile neo-gotico veneziano di Palazzo Fizzarotti. Si tratta di un edificio residenziale vistoso e raffinato di colore rosa antico ubicato al civico 236. «Lo chiamiamo il castello – ci dice la 70enne Adriana che abita in questo stabile da cinquant’anni -. E’ molto antico, risale probabilmente alla fine dell’800».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
La donna tra un ricordo e un altro, ci parla del passato di questa palazzina che a suo dire sarebbe stata uno stabilimento per la produzione di liquori. «Qui c’era prima una distilleria del cognac – ci rivela la signora - gli antichi proprietari del palazzo producevano nelle stanze l’alcool che poi vendevano nei bar, ma negli anni 40 con la guerra tutto è andato distrutto».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
A renderlo ancora più particolare vi sono uno stemma in pietra che sormonta il portone d’ingresso e un mascherone apotropaico raffigurante il volto di un demone con le corna che si affaccia sulla parete del balcone al secondo piano. Attraverso un arco squadrato laterale entriamo in un piccolo cortile da dove possiamo ammirare le torrette merlettate e una loggetta su cui si aprono quattro grandi finestroni ogivali che richiamano lo stile orientale.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Ci lasciamo questa storia alle spalle e dopo aver superato l’incrocio con via Anita Garibaldi (l’unico di tutto questo tratto) e il cancello del park&ride, troviamo sulla sinistra la storica palestra dell’ex “Gil” (Gioventù italiana del Littorio), conosciuta oggi con il nome di “Palamartino” in onore dell’atleta olimpionico barese Francesco Martino.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
L’edificio ha una storia molto particolare. Fu costruito nella seconda metà dell’800 in corso Cavour per essere destinato come mercato, anche se quest’idea non venne accolta positivamente dalla cittadinanza che lo adibì ad usi diversi: comando dei vigili urbani, caserma dei pompieri e infine palestra.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Negli anni 20 il Comune decise di mettere però all’asta la costruzione, chiamata usualmente fijrre fuse, ossia ferro fuso. Ad aggiudicarsela fu l’”Opera Nazionale Balilla” diventata poi “Gil”, un’organizzazione giovanile del periodo fascista che decise di trasferire l’intero plesso in via Napoli.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
La sua struttura in ghisa e la copertura in legno permisero il trasferimento dello scheletro nella sua attuale sede. Tra le altre attività è qui che dagli anni 40 fino al 1975 il pugile Francesco Portoghese, fondatore della storica accademia pugilistica, ha allenato i suoi allievi. In questa palestra si formarono campioni come Gaetano De Lucia, che nel 1957 conquistò il titolo italiano dei professionisti e Vito Grande nominato il boxeur “più scientifico d’Italia”.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Praticamente abbandonata all’inizio del nuovo millennio, nel 2011 è stata presa in gestione da una società sportiva che ne ha fatto uno spazio polivalente dove ospitare incontri di pallavolo e basket. Ancora oggi al suo interno si nascondono bellissimi particolari quali dei capitelli in stile corinzio in ghisa che decorano tutto l’impianto.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Dal terrazzino dell’edificio è possibile poi affacciarsi sull’area dell’ex arena Moderno, un vecchio cinema all’aperto utilizzato fino agli anni 80 del quale è rimasta ancora la parete di proiezione. Dopo esser stato adibito a garage e a deposito, presto avrà una nuova vita come contenitore per diverse attività culturali per il quartiere.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Siamo ora arrivati all’incrocio con via Brigata Regina. A dominare l’angolo c’è la chiesa Santa Maria del Monte Carmelo, nata nel 1938 e ricostruita nel 1952 con una forma molto particolare: sembra un missile.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Da qui in poi comunque via Napoli cambia di nuovo volto. Per qualche isolato è affiancata dagli alti palazzoni di una zona nata negli anni 70 al posto della cosiddetta "Guaragnèdde" (di cui rimangono solo poche antiche case) e che si caratterizza oggi per rappresentare la “discesa” del nuovo ponte Adriatico. Poi la strada ritrova la sua solitudine affiancando i grandi capannoni industriali abbandonati del rione Marconi, tra cui l’affascinante acciaieria Scianatico.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Superato poi l’incrocio con via di Maratona (quella in cui ha sede il più grande dormitorio pubblico della città) la strada affianca il muro di cinta bianco e rosso della caserma Briscese ed entra nel quartiere San Girolamo. Passa così davanti alla Pineta San Francesco e al grande Canalone e una volta arrivata all’altezza della caratteristica masseria Attolico, si perde nel passaggio che porta alla tangenziale di cui diverrà solo una complanare. E il nostro viaggio su questa via storica, industriale, veloce e isolata finisce qui.
(Vedi galleria fotografica)
© RIPRODUZIONE RISERVATA Barinedita
Scritto da
Annarita Correra
Annarita Correra
Foto di
Antonio Caradonna
Antonio Caradonna
I commenti
- Mariano Argentieri - Il palazzo eclettico dallo stile medievale di via Napoli 249 apparteneva lla famiglia di Matteo De Cillis. Nel suo stabilimento, caratterizzato dallo stesso stile merlato con portoni ogivali e adiacente alla dimora, venivano prodotti: dal 1886 Cognac Grappa e Cremor di Tartaro. Negli anni '60 la fabbrica venne demolita per edificazione di nuovi palazzi.